Il lato oscuro di Non è la Rai: “Compromessi, sesso e schifezze”

Non è la Rai

Era il 9 settembre del 1991 quando su Canale 5 andava in onda la prima puntata di Non è la Rai, programma cult di Gianni Boncompagni che diventò già poco dopo il debutto un incontenibile fenomeno di costume degli anni ’90. Dallo studio 1 del Centro Palatino di Roma un centinaio di giovani ragazze scalpitavano per vivere il loro sogno televisivo che ben presto si trasformò in un successo senza precedenti.

Tra loro, fin dalla prima edizione, l’allora 21enne Laura Colucci che oggi, trent’anni dopo, ha deciso di accendere i riflettori sul ‘dietro le quinte’ della trasmissione, illuminando un lato oscuro che sente l’esigenza di raccontare. “Non era una favola. C’erano delle situazioni vomitevoli. Le racconterò nel libro che sto scrivendo, probabilmente anche facendo i nomi o comunque facendo capire di chi parlo” dice a Today, anticipandoci più di qualcosa.

Come sei arrivata a Non è la Rai?
“Ho iniziato dalla prima edizione, quella condotta da Enrica Bonaccorti, ma non ho fatto il provino come le altre ragazze. Sono arrivata a programma iniziato, dopo due mesi. Avevo 21 anni”.

Niente casting?
“No. Un giorno ero andata al Centro Palatino con una mia amica, lui mi ha visto e mi ha chiesto di fare parte del cast”.

Lui era Gianni Boncompagni?
“Sì. Sono andata con questa mia amica che me lo ha presentato, gli sono piaciuta e mi ha fatto fare una prova con un costume da bagno per vedere se ero telegenica”.

Non è la Rai compie trent’anni e oggi tutti la celebrano come un fenomeno televisivo. Ve ne rendevate conto già allora?
“Quando ti accade qualcosa di bello difficilmente te ne rendi conto mentre lo vivi, lo capisci sempre quando non c’è più. La cosa fondamentale in quel momento era rendersi conto che era una piccola parentesi della vita e che poi si sarebbe chiusa. Io sono sempre stata lucida, tante ragazze sono rimaste sotto botta e ci stanno ancora. Pensano di essere le dive degli anni ’90”.

Come si svolgevano le vostre giornate?
“Dipende. La trasmissione iniziava alle 14. Se avevamo delle prove da fare per qualche telepromozione o qualche balletto arrivavamo intorno alle 11, poi pranzavamo a mensa e andavamo in studio. Poteva capitare di restare per fare altre prove, per qualche serata, altrimenti finito il programma andavamo via”.

Un lavoro vero e proprio…
“Oggi ci metterei la firma a lavorare dalle undici alle quattro del pomeriggio per 4 milioni al mese”.

Lo stipendio era uguale per tutte?
“Appena iniziata la trasmissione guadagnavamo tutte 100 mila lire al giorno con ritenuta d’acconto. Alla fine del primo anno lui scelse delle ragazze che avevano le caratteristiche per poter continuare nel mondo dello spettacolo. Io facevo parte di questo gruppetto d’elite e lo stipendio era diverso: 150 mila lire al giorno e 15 milioni di esclusiva Mediaset una tantum, a partita iva. Tutto ciò che spendevamo per migliorare la nostra persona a livello estetico era scaricabile, addirittura andavamo a credito. Poi c’erano le serate. Insomma, non era male come situazione”.

Chi sceglieva le ragazze che si esibivano?
“C’era la redazione e tutte le figure che servono per la costruzione di un programma. Chiaramente lui era il regista ed era lui che sceglieva chi si esibiva”.

Irene Ghergo che ruolo aveva?
“In tre anni non ci ho mai parlato. Lei era la figura che veniva dopo Gianni ma non ci ho mai avuto molto a che fare. Era una persona molto austera che generalmente parlava con le ragazze che avevano più spazio, ad esempio con Ambra”.

Tra voi ragazze che rapporto c’era?
“Un rapporto di pseudo-amicizia, di competizione e di invidia. I rapporti che spesso ci sono tra donne ma in quell’ambito e a quell’età era ancora più evidente. Emergere su cento ragazze non era facile. Io me ne stavo tranquilla, poi se mi chiamavano per fare un balletto, un gioco o una telepromozione ero contenta, ma non ho mai sgomitato per farlo. La maggior parte invece sgomitava. C’erano addirittura quelle che si facevano uscire le lacrime per farsi fare i primi piani. Si faceva di tutto pur di apparire”.

E con Gianni Boncompagni invece?
“Era una persona particolare. Amava contornarsi di persone giovani. Il rapporto con le ragazze era professionale e a volte anche extraprofessionale. Che lui avesse delle relazioni con le ragazze non mi riguarda, con me non ci ha mai provato. Aveva un grande carisma, ti trasmetteva qualcosa ed era riuscito a creare questo mood per cui dovevi arrivare a fare di tutto per emergere”.

Cioè creava competizione?
“Esatto”.

Eravate venerate come delle star. Cosa significa a quell’età?
“Per me è stato un gran divertimento. Però dipende da dove venivi. Ti faccio un esempio. Lui prediligeva le ragaze che venivano da un basso ceto sociale, quelle più affamate di successo e pronte a mettersi in gioco. Sicuramente per una ragazza come me, che veniva da una famiglia normale e non dovevo portare i soldi a casa, era diverso. I miei non mi chiedevano un contributo, quindi alla fine era un divertimento e basta. Non tutte a vent’anni hanno la possibilità di entrare da Louis Vuitton e comprarsi un trolley o una borsa, oppure i primi telefonini”.

Il successo da giovanissimi può essere rischioso. Era difficile gestirlo?
“Da una parte era gratificante, ma a vent’anni ancora non hai un carattere definito e puoi rimanerci sotto. Peggio se sei ancora più giovane. Alcune volte era pesante, c’erano ragazzi che ti seguivano fino a casa, andavi a cena fuori e ti assediavano. Fortunatamente sono sempre stata abbastanza matura e con i piedi per terra. La cosa mi divertiva, ma lo sapevo che non poteva continuare in eterno”.

Hai detto che qualcuna ci è rimasta sotto. Che intendi?
“Ci sono alcune che non si sono più riprese. Si vede da quello che pubblicano sui social, da come si pongono ancora adesso. Però ognuno è fatto a modo suo, non sta a me giudicare”.

Ci sono mai stati casi di stalking da parte di fan?
“Sì, a volte è accaduto. Ricevevamo tantissime lettere, c’erano dei ragazzi che ci mandavano addirittura dei regali. C’erano i fan affezionati che ti scrivevano una volta al mese, alcuni una volta a settimana, e poteva capitare che qualcuno superava il limite. A me non è mai successo ma a qualcuna sì”.

Nel post che hai scritto su Facebook hai detto di aver visto cose vomitevoli. A cosa ti riferivi?
“Tanti mi stanno chiedendo perché ho detto queste cose dopo trent’anni. In realtà io non le ho mai nascoste. Ieri leggevo di un libro che è uscito in questi giorni, di un fotografo che lavorava all’interno dello studio. Il titolo è ‘C’era una volta Non è la Rai’, che ti fa pensare a una favola. Il contesto non era fiabesco, assolutamente. C’erano delle situazioni che erano vomitevoli, lo ripeto. Le racconterò nel libro che sto scrivendo, probabilmente anche facendo i nomi o comunque facendo capire di chi parlo. Era un contesto di competizione con tutte le schifezze che concerne il mondo dello spettacolo. E’ chiaro che ci sono anche in altri ambienti, però nessuno scrive mai ‘C’era una volta l’impiegato’. Scrivere ‘C’era una volta Non è la Rai’, lasciando intendere che c’era un clima di serenità, di amore, di pulizia, non è corretto. Non è così”.

E che ambiente era?
“C’era tutto quello che c’è normalmente in un ambiente competitivo, dove si fa di tutto per emergere”.

Ci spieghi meglio a cosa ti riferisci?
“Alla fine del primo anno lui scelse delle ragazze che secondo lui avevano delle caratteristiche per proseguire nel mondo dello spettacolo e tante di queste ragazze dovevano scendere a determinati compromessi per poter mantenere la visibilità”.

Compromessi sessuali?
“A me nessuno ha mai chiesto di andare a letto con qualcuno, però ho vissuto direttamente storie di ragazze che frequentavo che mi hanno confidato di essere dovute scendere a compromessi per poter emergere e fare qualcosa di più rispetto a quello che facevo io ad esempio. Questo gruppetto era più sottoposto a queste richieste e io facendone parte le ho viste, anche se non vissute direttamente”.

C’erano anche minorenni in questo gruppetto?
“Certo. C’erano minorenni, c’erano genitori delle minorenni che spingevano…”

Le famiglie avrebbero dovuto avere un ruolo chiave in tutto questo, no?
“Ufficialmente uno dei due genitori doveva essere presente in studio, durante la trasmissione, se la figlia era minorenne. Ma di fatto la presenza di questi genitori non era per proteggerle ma per cercare di far fare a queste figlie qualcosa di più. Stavano completamente fuori di testa. Tante di queste ragazze addirittura smisero di andare a scuola, avevano puntato tutto su questa cosa. E i genitori stavano lì a cercare di piazzare le figlie nel modo migliore possibile”.

Stai dicendo che davanti a certe situazioni ‘sconvenienti’, chiamiamole così, alcune famiglie erano conniventi?
“Io direi di sì. Non solo. Incitavano le figlie a scendere a compromessi. Terribile. Tipo il film Bellissima. La canzone di Vasco Rossi, Delusa, dice tutto. Le parole sono più che eloquenti: ‘Il tuo papà è felice quando ti vede ballare in televisione?’. Parla proprio di questo. Aveva capito tutto”.

E definiva Boncompagni “il lupo”?
“Il lupo. Infatti il mio libro molto probabilmente si chiamerà così, ‘C’era una volta il lupo’”.

Senza mezzi termini…
“Per carità, io non posso dire cose brutte e basta. Lui comunque mi ha dato un’opportunità importante, grazie a lui ho vissuto una cosa molto bella, però a far passare questo contesto per una cosa fiabesca non ci sto. Una cosa che non sopporto è proprio l’omertà, l’ipocrisia. Avevamo una chat su Whatsapp con alcune ragazze che facevano parte di quel gruppetto di cui ti parlavo, in questi giorni abbiamo avuto una discussione per questo motivo e sono uscita. Più volte ho parlato apertamente di queste situazioni che si creavano, ma loro non rispondevano mai. Sparivano e il discorso finiva così. Non ho aspettato il trentennale per parlare, ma quando ho letto quel ‘C’era una volta Non è la Rai’ no, a tutto c’è un limite. Datevi una regolata, che non è mai stata una favola”.

Perché questa omertà?
“Perché è molto scomodo tirare fuori verità pesanti. Tante di loro sono state anche coinvolte in queste situazioni, quindi perché parlarne? Non è facile prendere la posizione che ho preso io. Tre anni fa mi cercò la redazione di una trasmissione Rai, mi tampinarono. Volevano delle rivelazioni. Io all’inizio ho detto di no, non mi andava, poi alla fine sono andata. Mi fecero questa intervista a Cinecittà, intervistarono anche altre ragazze e la mia alla fine la censurarono. Non andò mai in onda”.

Ti hanno dato una spiegazione?
“Mi hanno detto che si erano battuti tanto ma il direttore di rete aveva le mani legate perché qualcuno era potente da morto quanto da vivo”.

Torniamo al post e alle “schifezze” che dici di aver visto. Parliamo di molestie e rapporti sessuali?
“La molestia non è solo la pacca sul sedere o la palpata al seno. La molestia è anche psicologica, è dover scendere a compromessi e avere la pressione addosso che solo così puoi fare qualcosa. Non ho subito una violenza fisica, ma sicuramente una pressione psicologica per continuare ad essere visibile. Non erano rapporti sessuali, ma compromessi. A me mai nessuno ha chiesto di fare sesso, ma ad altre ragazze sì. Pressioni psicologiche però le ho subite e quando mi sono stancata si è visto, perché sono sparita. L’ultimo anno che ho fatto, il terzo, è difficile trovare qualcosa a cui abbia partecipato o primi piani. Mi aveva completamente cancellato”.

Le cose che dici scoperchiano pericolosi vasi di Pandora…
“Assolutamente, ma è anche vero che non stiamo scoprendo l’acqua calda. Sono cose che si sono sempre sapute ma che nessuno ha mai detto. Sono passati trent’anni eppure capita che qualcuno mi ferma convinto di avermi visto da qualche parte e quando dico di ‘Non è la Rai’ in tanti mi rispondono ‘Capirai con Boncompagni’. Quindi, voglio dire, sono cose che si sanno ma che stanno nel sottobosco. Non è un mistero. Adesso ho cinquant’anni e lo dico. Che poi l’ho sempre detto, ma me l’hanno sempre impedito. Ora mi sto organizzando per dirlo come va detto”.

Delle ‘famose’ di Non è la Rai hai più sentito qualcuna? Ambra, Laura Freddi?
“Con Ambra no, era molto più piccola di me e non ci siamo mai frequentate o sentite. La Freddi l’ho frequentata tanto, però ti dico no comment. Perché ci sarebbe tanto da dire”.

Trent’anni dopo, lo rifaresti?
“Certo che lo rifarei. Lo rifarei con lo stesso spirito con cui l’ho fatto a vent’anni”.

Lo faresti fare a tua figlia?
“Dipende che figlia ho. Sicuramente non glielo farei fare da minorenne. Io ho un figlio maschio, di 22 anni, che ho educato nel modo giusto. Se mia figlia fosse la versione femminile di lui ce la manderei, ma assolutamente mai a 14 o 15 anni, perché entri in contatto con delle realtà che non va bene conoscere a quell’età”.

Il lato oscuro di Non è la Rai: “Compromessi, sesso e schifezze”ultima modifica: 2021-09-10T06:45:07+02:00da maross8