Jodie Foster contro le ingiustizie sociali

Jodie Foster

Si arrabbia almeno dieci volte al giorno contro le ingiustizie sociali. Ma per combatterle, non usa la fama: si affida ai suoi personaggi. Come l’ultimo, l’avvocata Nancy Hollander che su Guantanamo ha qualcosa da dire. E pure sugli ex presidenti degli Stati Uniti

C’è una cosa che si capisce immediatamente di Jodie Foster quando la si incontra: l’attrice la fa, ma non lo è. Non c’è traccia di autocompiacimento in lei né desiderio di ammaliare. Eppure è magnetica. È impossibile, per tutta la chiacchierata, staccare gli occhi dai suoi, color carta da zucchero e ingigantiti da un paio di occhiali per niente modaioli. Dal sorriso che le attraversa il volto di carta velina.

Dal gesticolare ampio e scattoso dentro un anonimo maglioncino bordeaux possibilmente un po’ infeltrito, che poco ha a che fare con il glamour di Hollywood. Di cui lei è regina, da più o meno sempre. A tre anni il primo set, per la pubblicità della crema solare Coppertone, a 13 il primo successo, con il ruolo della baby prostituta in Taxi Driver, a 26 il primo Oscar, a 50 il Golden Globe alla carriera. Recitando, è arrivata in vetta. Ma, siamo pronti a scommettere, lo stesso sarebbe capitato qualsiasi professione avesse scelto.

Considerata una bambina prodigio, ha imparato a leggere in autonomia a tre anni, alle elementari manteneva la famiglia, a 13, alla conferenza stampa di Taxi Driver a Cannes, ha fatto da interprete tra i giornalisti francesi e il cast americano. Sarebbe diventata una grande traduttrice se avesse proseguito lo studio delle lingue straniere iniziato al Lycée Français di Los Angeles. O una grande letterata se, invece che girare Sotto accusa, avesse fatto domanda per un dottorato a Yale dove, tra un film e l’altro, si è laureata con lode. O anche un grande avvocato se avesse seguito la sua passione per la giustizia sociale.

Passione che, in ogni caso, ha avuto modo di assecondare ora, a 58 anni, nel suo ultimo film, The Mauritanian, in uscita il 3 giugno su Amazon Prime Video. Tratto da una storia vera, racconta le vicende di Mohamedou Ould Slahi, un ragazzo (oggi 50enne) mauritano sospettato di aver legami con Al-Qaeda e imprigionato per anni a Guantánamo, e del suo difensore, Nancy Hollander, che fa di tutto per farlo rilasciare.

Ha dovuto studiare un po’ di diritto per calarsi nei panni dell’avvocato Hollander?
«Ho letto tutte le interviste ai legali dei detenuti a Guantánamo per capire le fondamenta delle nostre leggi, i rapporti che si creano tra i difensori e i clienti, le tattiche dispiegate in tribunale. Il diritto mi appassiona: dopo l’università ho accarezzato l’idea di iscrivermi a Giurisprudenza».

Invece proprio in quel momento ha preso un altro treno: ha recitato in due film, Sotto accusa e Il silenzio degli innocenti, che le sono valsi due Oscar. La sete di giustizia, però, non si è mai sopita. O sbaglio?
«Mai. Ancora oggi, mi arrabbio almeno dieci volte al giorno».

Per che cosa?
«Per cause che non amo pubblicizzare usando la mia fama. Stimo i colleghi che ci riescono, io non mi sentirei a mio agio».

Oltre ad arrabbiarsi, prende provvedimenti?
«Faccio le stesse cose che fanno le persone normali: mi informo, alzo il telefono, uso le mie mani, i miei piedi».

Ne parla con i suoi figli?
«Certo: sia Charles sia Kit (rispettivamente 22 e 19 anni, avuti con la ex compagna Cydney Bernard, ndr) sono appassionati di politica, infaticabili difensori dei diritti civili. Sono sempre lì a leggere le notizie».

Studiano Giurisprudenza, Scienze politiche o cosa?
«Niente di tutto ciò. Il grande fa teatro. È un tipo charmant, veste interamente di nero, ha un bizzarro taglio di capelli e un discreto successo con le ragazze. Il piccolo è l’opposto: un chimico un po’ nerd, con tanto di papillon e disagio a stare in mezzo alla gente. È uno che, quando si concentra su una cosa, niente può distrarlo: non risponde se lo chiamo, non sente se passa un treno, niente. Ma, seppur così diversi, entrambi sono molto coinvolti in questo momento di risveglio corale americano in nome della giustizia sociale».

Quindi hanno apprezzato il film.
«Molto. D’altra parte è difficile rimanere indifferenti alla forza di Mohamedou e alla dedizione di Nancy, che definirei “una donna al servizio della giustizia”. Pensare che è stata tacciata di antiamericanismo, quando in realtà è vero il contrario: ama talmente il suo Paese che è pronta a metterne alla prova la democrazia che lo fonda. Una vera democrazia deve poter essere pungolata per definirsi tale».

Anche di lei si è insinuato che non fosse esattamente innamorata del suo Paese. Si dice che conosca a memoria La Marsigliese ma non l’inno americano.
«Conosco entrambi. Ho studiato La Marsigliese a scuola: ce la facevano cantare ogni settimana. Ma non sbaglio una parola neanche di The Star-Spangled Banner. Sono i versi di America the Beautiful che mi sfuggono. Credo però non ci sia un solo cittadino americano che conosca questa canzone per intero».

Morale, si considera patriottica o no?
«Sì, molto. Ho vissuto parecchio tempo all’estero, ma sono sempre tornata a casa: ogni volta provavo nostalgia per quello che so che l’America può essere. E penso che il governo che abbiamo salutato qualche mese fa non necessariamente rappresenti il meglio di noi».

Che cosa invece lo rappresenta?
«Persone come Nancy, convinte sostenitrici della nostra costituzione e dei diritti umani».

Quando l’ha incontrata che idea si è fatta di lei?
«È una donna intelligentissima, che ha sofferto moltissimo. Ha passato anni a difendere clienti che hanno commesso crimini orrendi, che hanno mentito a lei e al mondo intero. Queste cose lasciano un peso sulle spalle con cui uno deve fare i conti per il resto della vita».

E condannano alla solitudine, come si percepisce nel film.
«Il vero condannato alla solitudine è Mohamedou: per sette anni rinchiuso in una cella di sei metri quadrati, senza vedere anima viva se non i suoi carcerieri».

Lui è venuto spesso sul set. Oggi è un uomo arrabbiato?
«Al contrario: è uno che ti abbraccia un milione di volte. È rimasto aperto alla vita dopo aver visto l’abisso: rapito, imprigionato senza un capo di accusa, torturato, minacciato, annichilito. Gli sono stati rubati 15 anni».

Storie come la sua fanno venir voglia di smettere di lamentarci per i nostri fastidi quotidiani.
«Storie come la sua a noi non potrebbero mai capitare, per il semplice fatto che non siamo uomini musulmani. Tutto ciò che ha subito è dovuto alla sua etnia, alla sua religione che lo rendeva sospetto. Questo è l’aspetto più vergognoso».

Insieme al fatto che l’Amministrazione Obama non si sia prodigata per il suo rilascio immediato. Anzi: dopo essere stato prosciolto da ogni accusa, è stato trattenuto altri cinque anni.
«Non mi piace parlare male di Obama».

Ma su Guantánamo ha fallito: aveva promesso di chiuderla, non l’ha fatto.
«Non gliel’hanno permesso. Al tempo il Congresso era a maggioranza repubblicana. L’hanno ostacolato».

Pensa che il presidente Biden si farà carico del problema?
«È possibile. In ogni caso, prima o poi Guantánamo verrà chiusa. E sa perché? Perché costa troppo, con tutti quei militari, con quell’altissimo livello di sicurezza per così pochi detenuti (a oggi circa 40, ndr). Il gioco non vale la candela».

Sento molta realpolitik e poca fiducia nel genere umano.
«Nessuno può cancellare il fatto che abbiamo avuto un governo così spaventato da mettere in piedi una struttura nella quale i diritti umani sono stati dimenticati. E i detenuti abbandonati a una solitudine cosmica».

Lei ha paura della solitudine?
«Per niente. Amo la mia famiglia, ma sono anche una che ha bisogno di stare molto tempo per conto proprio. Sono così fin da piccola».

C’entra il fatto che da bambina è stata valutata come «prodigiosa»? Intelligenza sopra la norma e isolamento spesso vanno a braccetto.
«Ero molto portata per le materie umanistiche, per le lingue. Non so se fossi davvero un prodigio in tutte le discipline. In ogni caso, certo, questo mio côté intellettuale mi rendeva diversa. È quello che ho cercato di raccontare nel mio primo film da regista, Il mio piccolo genio, dove il protagonista è un bambino superdotato che a sette anni si fa carico della propria famiglia. La mia infanzia è stata molto simile, piuttosto solitaria».

L’ultima volta che è stata sola?
«Finite le riprese di The Mauritanian, a febbraio del 2020. Al termine di ogni film mi concedo “il mese della talpa”, in cui sparisco per un po’. Quella volta sono andata a sciare. Sono scesa dall’aereo e ho cominciato a sentire che qualcosa di strano stava succedendo in Cina. Mi sono rinchiusa tra i monti. Quando sono riemersa, il mondo era cambiato».

fonte

Jodie Foster contro le ingiustizie socialiultima modifica: 2021-05-18T08:00:10+02:00da maross8