Asia Argento: “Io, i miei genitori, la violenza, i dolori, le dipendenze … e il MeToo”

Asia Argento

La denuncia a Harvey Weinstein, le violenze della madre, il dolore per il fidanzato morto suicida, l’alcol e la droga: l’attrice racconta la sua vita in un’intervista esclusivaal settimanale Oggi. E le sue scelte controcorrente. Che hanno avuto anche esiti poco piacevoli.

Asia Argento racconta la sua vita controcorrente. Nel 2018 fu tra le prime a denunciare le violenze subite a 21 anni dal produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein. Scatenò una tempesta. Che travolse anche lei. Ma Asia Argento, 46, attrice, regista e produttrice, figlia del maestro italiano dell’horror, è abituata al ruolo della “cattiva ragazza”. E in questa intervista esclusiva pubblicata dal settimanale Oggi, ispirata dalla sua biografia, Anatomia di un cuore selvaggio, ne ricostruisce le ragioni.

Dopo averla violentata due volte, Weinstein si presenta al suo compleanno e arriva senza essere invitato alle sue anteprime. Perché l’ha seguita per tanti anni? «Pensavo che fosse innamorato di me. Ma non era così. Era soltanto malato. Era un predatore seriale. È il suo modus operandi. Vuole dominare la vittima, rubarle tutto ciò che ha di prezioso e intimo. Ha bisogno di sentirsi potente. D’altra parte, benché lo si racconti meno, era terribile anche con i registi. Era onnipresente, rifaceva il montaggio dei film, rubava la creatività degli altri. La gente aveva paura di lui».

Ha scritto che, al Festival di Cannes del 2018, quando è salita sul palco per accusarlo, le donne l’hanno fulminata con lo sguardo. «Sul momento mi sono chiesta perché lo stessi facendo. Sono troppo istintiva. Lui era libero, e io ebbi l’impressione che il fatto che tante donne avessero parlato contro di lui non servisse. Dopo il mio discorso, sono diventata quella da evitare. Lo ero già, ma la faccenda è peggiorata. Sfortunatamente non esiste una vera complicità femminile nel nostro mestiere. Troppe gelosie…».

Neanche l’Italia l’ha premiata per Weinstein. Si è pentita? «Sì e no. Non è stato facile, nel periodo in cui mi sono trovata in prima pagina tutti i giorni. In televisione, andavano in onda talk show in cui da una parte c’erano quelli che stavano dalla mia parte e dall’altra quelli che erano contro di me. Era surreale. Ma so che il mio gesto ha aiutato alcune donne e per questo non me ne pento. Senza la telefonata di Ronan Farrow (il figlio di Mia Farrow e Woody Allen, ndr), il giornalista del New Yorker che conduceva un’inchiesta su Weinstein, non l’avrei denunciato… Ma sarei stata a disagio a guardarmi allo specchio sapendo che stava facendo ad altre quello che aveva fatto a me. Non l’ho fatto per me, ero la più semplice da distruggere. Per la gente, ero una puttana… e una puttana non viene violentata, no? Parlare non è stata una vittoria. L’unica vittoria è che lui sia in prigione. In questo momento la mia preoccupazione è la deriva del movimento #MeToo».

Si riferisce agli eccessi? «Mi riferisco al falso moralismo che ha generato. Non si può più girare una scena di sesso a Hollywood se non è presente uno “specialista” che sorveglia che tutto sia in ordine! Le persone hanno addirittura paura di flirtare. Io adoro flirtare! Catherine Deneuve sostiene che il limite tra seduzione e stupro è sottile. Per me, invece, è molto chiaro».

I registi con cui ha lavorato, a sentir lei, sono tutti tiranni. «Ho avuto dei ruoli duri e, a volte, bisogna immergersi nell’incubo per ottenere verità. Lavorare con Nanni Moretti (in Palombella Rossa, ndr) è stato un inferno. Lo giustifico perché è stato necessario. Ho fatto lo stesso quando la regista ero io. E non ne sono fiera. Ma è il mio mestiere ed è meglio che andare in banca tutti i giorni».

L’hanno definita “Dark Lady”. «Mi hanno appiccicato questa etichetta e, in passato, mi è servita. Le persone avevano paura di me e, per questo, non si rendevano conto di quanto fossi ferita. Pensavo che fosse questo che ci si aspettasse da me: che mordessi. Alla fine, mi è costato caro. A forza di moltiplicare questo personaggio di psicopatica, di prostituta, non sapevo più io stessa chi fossi: la donna indistruttibile o la ragazzina fragile abbandonata per strada».

Lei dice che è per compiacere suo padre che ha fatto film… «I miei rapporti con lui sono stati fondati a lungo sul cinema. È ancora così. Salvo che, ora, ci raccontiamo anche molto le nostre vite. È un mentore. Quando sono rimasta incinta, abbiamo rotto. Avevo 25 anni, pensava che non fossi in grado di fare la mamma e gestire al tempo stesso la mia carriera. Quando è arrivato il mio secondo figlio, ho preferito concentrarmi sul ruolo di madre. I miei genitori non hanno fatto la stessa scelta, i loro tre figli sono stati lasciati alle tate».

Con le quali ha fumato spinelli… «Ho avuto una vita particolare, ma non il glamour che ci si immagina. Però mi stava bene, non ho mai invidiato l’esistenza degli altri. Mi sono sempre sentita diversa. Ci si fanno delle idee sbagliate sulla vita degli artisti. Io ho smontato i pregiudizi che circondavano la mia famiglia».

Nel libro lei parte dalle violenze di sua madre, Daria Nicolodi, e termina con la sua morte. Perché iniziare e concludere con lei? «La madre è l’origine. Quando si è ammalata, avevo già scritto le prime pagine. È morta quando avevo quasi finito. Ma l’avrei pubblicato in qualsiasi caso. Ho dovuto andare oltre il dolore, trasformare il veleno in antidoto».

Come hanno reagito i suoi a leggerlo? «Non l’hanno letto. Li ho avvertiti e loro non avevano affatto voglia di rivivere tutto quello che avevamo passato, soprattutto la morte di mia sorella (Anna Ceroli Nicolodi, figlia di Daria e dello scultore Mario Ceroli, morta in un incidente stradale a 22 anni, nel 1994, ndr)».

Si considera una sopravvissuta? «Mi piace questa parola. Più di “vittima”. Nessuno mi ha mai protetto, per cui l’ho fatto da sola. Una parte di me ha sempre voluto farmi del male, mentre l’altra si spingeva in alto».

Da qui la sua dipendenza dalle droghe e dall’alcol? «È il mio lato autodistruttivo, che però mi ha permesso di dimenticare il dolore, finché ha funzionato. Ho scherzato parecchio con la morte. Forse non avevo voglia di vivere, ma nemmeno voglia di morire. Da qualche anno, ho smesso con tutto. Non ho mai saputo bere come gli altri. Un bicchiere era già troppo e 40 non erano abbastanza!».

Ha anche instaurato relazioni tossiche… «Mi fidavo troppo facilmente. Adesso, non mi fido. Troppo. In ogni caso ho imparato qualcosa dalle mie esperienze: se vedi nero, lo attiri; e non puoi salvare qualcuno che non voglia essere salvato».

Allude al suo partner Anthony Bourdain (il notissimo chef si è suicidato nel giugno 2018, ndr)? «L’ho sognato un mese fa, ed era la prima volta. È venuto a spiegarmi perché l’aveva fatto. Provo ancora un dolore incredibile. Sono sicura che nel momento stesso in cui è uscito dal suo corpo si sia detto: “Ma che ho fatto?!”. Accetto ciò che non posso cambiare. La vita è anche la morte».

Nella biografia torna sulle accuse di molestie che le ha fatto Jimmy Bennett, che hanno provocato la rottura del suo contratto con X Factor. Crede di essere stata condannata dal tribunale mediatico? «Sì, non c’era una denuncia, una prova, solo un articolo del New York Times. Ma non provo rancore. Bennett voleva soldi. Ho visto molti attori giovani che non sono riusciti a sfondare com’era stato loro promesso e hanno dato di matto».

Asia Argento: “Io, i miei genitori, la violenza, i dolori, le dipendenze … e il MeToo”ultima modifica: 2021-10-21T12:30:32+02:00da maross8